22 febbraio 2005

Io, Robot

Ci sono delle volte che mi sento come ingabbiato in questa vita, fatta di algoritmi, di routine, di regole.
Queste sono le volte in cui vorrei lasciare tutto alle spalle e ricominciare tutto da capo. Ed è proprio quello il momento in cui mi rendo anche conto che ciò che sono io è proprio ciò che ho alle spalle. Indissolubilmente.
E allora mi dico che il mio passato mi condurrà nel futuro che ho creato (è chiaro che, non credendo nel destino, penso ci sia una componente di caso/fortuna non prevedibile). Ma mi chiedo anche: sono contento di questa vita? Mi sento costretto in una scatola, un recipiente di vetro dal quale vedo una vita e ne faccio un'altra. Perché io sono in quella scatola.
La apro e vedo stress, ansie, risultati, obiettivi, voglie, desideri. Mi chiedo se ho ottenuto qualcosa, e la mia risposta è sì. Ma ho fatto un percorso diverso dagli altri per ottenere quel qualcosa. Mi sono angosciato (e penso: magari si angosciano anche gli altri), mi sono stressato (lo do poco a vedere ma dentro di me mi massacro di stress, lo sfogo sta nella soddisfazione di quello che faccio).
Questa vita è quella che scelgo di fare, dopo tutto ingegneria è una facoltà che mi piace, e non ha tradito le mie aspettative per quanto riguarda i miei interessi e le mie ambizioni, per quanto concerne il resto non mi posso lamentare....
Però, dentro di me, sento che qualcosa deve cambiare, per star meglio. Forse è che l'uomo non sta mai bene con se stesso, un po' come chi sta in città e vorrebbe vivere in campagna e viceversa. Chissà.

Mi sento stabile, anzi stabilissimo sulle mie idee e sul mio modo di agire, ma allo stesso tempo mi guardo i piedi e sento fragilità, una fortissima precarietà.
Ma forse questa è la vita, un continuo crescere e cambiare, un continuo giudicarsi e rivedersi, corregersi e andare avanti, dubitare di tutto ciò che si vive, e capirne meglio il valore.

03 febbraio 2005

Il Pianista

Volevo scrivere sulla bellezza di un film che mi è capitato di vedere per caso, un film di cui non avevo sentito parlare molto, se non quando era appena uscito nelle sale cinematografiche.
Questo film si intitola "Il Pianista", diretto da Roman Polanski, un film che non è bello, ma stupendo.
Uno di quei film che ti lascia qualcosa dentro, che fa bruciare il petto di tristezza, che invoglia lo spettatore a voler capire come sono andate le cose nella seconda guerra mondiale, a voler capire come le persone vissero quegli anni, come gli ebrei furono costretti a vivere quell'inferno.
Un protagonista (Adrien Brody) che sembra interpretare la sofferenza fatta persona, una recitazione ottima, ineccepibile davvero.
Chi non lo avesse ancora visto, allora sappia che c'è ancora un film da vedere.
Sarà un film cupo, senza lieto fine (perché il ritorno alla normalità per gli ebrei secondo me non fu un lieto fine, dopo tutto ciò che successe con l'Olocausto), triste, triste da piangerci sul serio.
Ma quanto insegnano queste pellicole così ben dirette, quanto ci fanno capire la follia di cui è capace l'uomo!!
Una cosa che ho notato inoltre è che in questo lungometraggio si da il giusto peso alla xenofobia e all'antisemitismo dilagante nel popolo, quello che 5 anni dopo sarebbe diventato il grande popolo antinazista. Senza generalizzare, è ovvio, ma senza nemmeno voler dimenticare la realtà, una realtà fatta di dilagante razzismo e (insensata!!) xenofobia.
Buonanotte